Il mio piccolo mondo di cristallo
Salve a tutti, in un mio momento di forte bisogno di confrontarmi ho letto alcune storie e mi hanno aiutata molto, e oggi vorrei anche io aiutare chi ha bisogno di non sentirsi solo, raccontando la mia esperienza che mi ha dato tanto dolore e tanta forza.
Mi chiamo Maria Celeste, ho 15 anni e per non tenermi tutto dentro ho deciso di scrivere i miei sentimenti scrivendo una storia:Il mio piccolo mondo di cristallo.
L’umano è come un bicchiere di vetro: fragile e prezioso, basta un tocco per farlo cadere e una mano per non distruggerlo.
Eccomi, nel mio piccolo mondo di cristallo, io e la mia storia da raccontare.
È iniziato tutto da una semplice passeggiata e dall’affetto di mia madre che, guardandomi, notò un lieve dislivello tra le mie spalle e una camminata leggermente storta. Ovviamente si preoccupò, io però troppo orgogliosa non volevo curarmi delle preoccupazioni dei miei genitori. Mi accompagnarono dal pediatra, credendo fosse niente di grave, ma si sa, le madri, quando si tratta dei loro tesori, possono essere molto più brave di un medico. Feci le radiografie e iniziai a farmi curare da un osteopata perché la radiografia mostrava una scoliosi dorso lombare di 40 gradi. Ero confusa e spaventata. Da allora iniziai a conoscere nuove emozioni e a crearmi quel mio piccolo mondo di cristallo in cui ancora mi rifugio.
Andai a Bologna, sicura di aver risolto il problema,infatti sul mio diario scrissi: “Domani parto per accertarmi che sono guarita”. Vorrei che la mia storia finisse qui, purtroppo quella era solo una piccola illusione.
“La ragazza deve urgentemente indossare il busto.” Eccola la frase, il proiettile di una pistola non calibrata per uccidere ma per immobilizzare. Il 2 novembre 2012 vidi e indossai per la prima volta il busto Milwaukee: aveva due aste metalliche dietro e una avanti, collegate ad un collare con una mentoniera anteriore, l’unica cosa bella era il corsetto di color jeans, perché bianco sarebbe stato davvero deprimente. Il primo mese fu pieno di soddisfazioni: nonostante il dolore non piangevo, ma non fu sempre cosi, iniziai piano piano a conoscere meglio il mio busto pomeriggio e notte… ed è qui che inizia la parte più difficile della mia storia.
Mi guardavo allo specchio e capivo che non ero quella che volevo essere, non dormivo più come prima, avendo un collare al collo, era impossibile stare comodi, ma ci ho fatto l’abitudine… a volte avevo paura di soffocare, avevo paura di non farcela, di rovinarmi la pelle.. quante canottiere rovinate e quante lacrime versate a causa della rabbia. La mia paura non si limitava solo al soffocamento, ma anche all’idea di non tornare più come prima, perché non era cambiato solo il mio modo di vivere, ero cambiata anche io. Ho iniziato a chiudermi quando uscendo vedevo la gente che mi fissava per capire che cosa avevo al collo, altri erano sconvolti, altri ridevano, altri erano curiosi, altri venivano e mi chiedevano se avessi fatto qualche incidente e per me era sempre un dolore al cuore dover spiegare che era un busto per guarire la mia scoliosi. Quante sciarpe comprate per coprire il collare!
Non riuscivo nemmeno a mangiare bene, perché masticare era diventato una cosa interminabile, data la mentoniera.. non potevo muovermi. Mi sentivo totalmente sola, e mi chiedevo perché era accaduto tutto questo.
L’aspetto peggiore era l’impossibilità di potermi confrontare, perché nessuno aveva il mio busto, nessuno.. in ogni posto, cercavo qualcuno come me e non esisteva, o forse si, sicuramente si, ma io non lo conoscevo.
Potevo sfogarmi con la mia migliore amica, con mia madre, ma avevo bisogno di qualcuno che sapesse esattamente cosa si provasse.
Poco alla volta iniziavo a sentirmi chiusa in una gabbia in cui era impossibile muoversi, con l’istinto di dare pugni, di cacciare il busto e buttarlo a terra, e la rabbia che avevo mi faceva sentire sempre più distrutta.
La vita non è mai così orrenda: avevo imparato a decorare quella gabbia, a viverci dentro, perché avevo la speranza di farcela, la forza e la determinazione con cui Dio mi ha fatta, il miglioramento e i risultati di tanti sacrifici, tutto quel dolore, quella rabbia alla fine mi servivano per andare avanti. Però alla fine era cambiato pure il mio carattere: ero diventata più aggressiva e più chiusa, ero diventata una ragazza che stava combattendo troppo.
In estate era tutto più difficile: il caldo che provavo era esasperante, la voglia di buttare il busto nel mare… per un momento ho pensato pure di operarmi, ma mia madre mi convinse che era la soluzione peggiore.
Era diventato così difficile che iniziai a non mettere più il busto, lo mettevo solo la notte, era più forte di me, ogni sera mi addormentavo con il senso di colpa di non aver messo il busto, fu così che peggiorai e ritornai ai 40 gradi che prima erano scesi a 35. Ricominciai a metterlo tutto il giorno. Fu il periodo in cui mi sentivo vuota, perché mi odiavo, e non c’è cosa più brutta di odiare se stessi, mi odiavo perché avevo perso tempo, perché non avevo mantenuto le mie responsabilità, perché ero sicura di non poter più farcela, ed era colpa mia… iniziai anche a sentirmi sola perché avevo bisogno di qualcuno che si potesse mettere nei miei panni. Ogni giorno, a salvarmi, c’era la musica, non ho mai perso la forza, ma il dolore non spariva mai… quella gabbietta e quella rabbia non se ne andavano mai, io volevo essere una normale adolescente, non che ne esistano persone normali. Invece ho rinunciato a tante cose: volevo fare danza e non l’ho fatta perché il dottore mi aveva detto che potevo fare solo nuoto, questo sport, questo si che fu un umiliazione, escludendo il fatto che non mi piaceva, non potevo fare alcuni stili, rana e delfino, e ogni volta dovevo spiegare che non li potevo fare, vedevo gli altri senza problemi nel fare quegli stili e qui ho dovuto anche assaggiare l’invidia.
Dopo il mio peggioramento, non volevo più perdere tempo, mi sono sacrificata imparando a decorare quella brutta gabbietta fino a trasformarla in un piccolo mondo di cristallo, fragile e prezioso: un mondo in cui mi piaceva vivere e che solo la mia famiglia ha conosciuto, che solo la mia famiglia ha reso più splendente.
C’erano momenti in cui mi sentivo molto fortunata, il fatto che mi potevo permettere una cura mi faceva sentire meglio, perché non tutti se lo possono permettere. Tuttavia c’erano giorni in cui solo scrivendo riuscivo a sfogare la mia rabbia… scrivevo tante cose che scriverle di nuovo è complicato. Scrivevo tutti quei sentimenti che una ragazza può provare quando guarda i propri genitori soffrire per lei, quando vorrebbe fare qualcosa che non può, quando vorrebbe mostrare la sua bellezza fisica al ragazzo che le piace ma invece, deve fare vedere quel busto che la fa sembrare un robot… e per i miei amici, in realtà, io ero normalissima, le persone non mi hanno mai giudicata per la mia salute, ero io che mi sentivo diversa, e di conseguenza, mi mostravo diversa. Ero diventata come un bicchiere di vetro: ci voleva niente per distruggermi.
Dentro quel mio piccolo mondo di cristallo desideravo cacciare il busto, guardarmi allo specchio e vedermi diritta, andare dai miei genitori e dire: mamma, non ti devi più preoccupare.
Essendo una ragazza ambiziosa e determinata, avevo deciso di porre fine a tutti questi sacrifici. Dovevo essere io a decidere della mia vita. Arrivai da ISICO. E qui cacciarono quel proiettile fatto per immobilizzare. Mi dissero di cacciare il mio busto perché non ce n’era più bisogno, e mi misi un altro busto, molto più piccolo, che non si vede proprio, un busto che in confronto all’altro è niente. Iniziai a fare ginnastica correttiva e finalmente potevo fare danza. Ero felice, mi sentivo libera, totalmente libera. Felice di non dover vivere nelle abitudini di quel busto, felice di non dover vivere in una gabbia piena di rabbia. Mi sentivo felice e forte, fiera di non aver mai permesso a tutto il dolore che ho provato di mangiarmi l’anima.
È vero che non si realizzerà mai il sogno di guardarsi allo specchio e vedere una ragazza diritta. Perché non sarà mai possibile. La mia schiena però è migliorata di 10 gradi, la mia scoliosi era a 29 gradi. Ovviamente c’era la delusione di non poter guarire completamente, ma che importava, io non ero più in condizioni gravi e preoccupanti.
La mia storia è arrivata al presente, oggi indosso un busto bolognese, che probabilmente tra un po’ di tempo toglierò perché nell’ultima visita la mia scoliosi era tra i 24 e i 25 gradi.
Quel mio piccolo mondo di cristallo non si è distrutto, non se n’è andato insieme al busto e alla rabbia. Sono stati loro che hanno lasciato il mio mondo, e in questo è rimasto il ricordo di tutto ciò che ho vissuto, e questo ricordo non mi rende triste quando ci penso, mi rende felice, mi rende molto forte e sicura di me stessa.
Perché ho imparato che nessuno rimane chiuso in una gabbia da solo, che nessuna gabbia ti potrà mai cambiare la vita. Questo mio piccolo mondo di cristallo è la mia anima, preziosa, splendente e forte,solo grazie a me e alla forza che ho trovato in me stessa che non ho mai abbandonato.
Questa è la mia storia, scritta per le persone che in questo momento vorrebbero un confronto e un consiglio. Oggi mi rendo conto che non sono mai stata sola, ho avuto i miei amici, la mia famiglia e soprattutto me stessa. Oggi che scrivo tutto ciò, mi rendo conto di quanto l’uomo sia responsabile della propria vita.
Oggi che scrivo tutto ciò mi sento felice di aver vissuto tutto quello che ho vissuto e che dovrò ancora vivere in futuro.
Spero si esser riuscita a dare conforto, forza e coraggio a chi ne ha bisogno.
Commenti
Commento di angela
Il 20/09/2016 alle 21:54 Grazie Mariaceleste per la tua bellissima testimonianza… |
Commento di Raffaella Scola
Il 21/09/2016 alle 08:24 Sei una ragazza forte e coraggiosa…continua così |
Commento di Benedetta
Il 23/09/2016 alle 11:59 Grazie… mi sono commossa ripensando alla mia esperienza con il busto e ora a quella di mio figlio. |
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Il 20/09/2016 alle 21:03
UNA STORIA BELLISSIMA.GRAZIE.